Here’s the missing part that should have been in Arturo, Part 2 (3): Se un giorno, diciamo per esempio, egli si fosse presentato innanzi a me ubriaco, o in delirio, certo io non avrei potuto supporre, per questo, che anche lui andasse soggetto alle debolezze comuni dei mortali! Lui, al pari di me, non s’ammalava mai, a quanto ricordo; però, s’io lo avessi veduto ammalato, la sua malattia non mi sarebbe sembrata uno dei soliti accidenti della natura. Essa avrebbe assunto, ai miei occhi, quasi il senso d’un mistero rituale, in cui Wilhelm Gerace era l’eroe, e gli officianti chiamati ad assisterlo ricevevano il privilegio d’una consacrazione! E certo non avrei dubitato, credo, che una qualche commozione del cosmo, dai paesaggi terrestri fino alle stelle, dovesse accompagnare questo mistero paterno.
Esiste, nell’isola, una piana fra rocce alte, in cui c’è un’eco. Certe volte, capitando là, mio padre si divertiva a gridare delle frasi tedesche. Pur non sapendone il significato, io capivo, dalla sua aria proterva, che dovevano essere parole terribili, e temerarie: egli le lanciava con accento di sfida e quasi di profanazione, come se violasse una legge, o rompesse una magia. Quando l’eco gliele rimandava, rideva, e ne rilanciava di piú brutali. Io, per rispetto della sua autorità, non osavo dargli man forte, e sebbene fremessi d’ansia bellicosa, ascoltavo quegli enigmi in silenzio. Non mi pareva d’assistere al solito gioco dell’eco, assai comune fra i ragazzi; ma a un duello epico. Siamo a Roncisvalle, e d’un tratto, sulla spianata, irromperà Orlando col suo corno. Siamo alle Termopili, e dietro le rocce si nascondono i cavalieri persiani, coi loro berretti puntuti.
Quando, nei nostri giri attraverso la campagna, si trovava davanti a una salita, egli era preso da impazienza e partiva in corsa, con l’accanimento d’un lavoro meraviglioso, come su per l’albero d’un veliero. E non si curava affatto di sapere se io gli stavo dietro o no; ma io lo seguivo a precipizio, pur con lo svantaggio delle mie gambe piú piccole, e la gioia mi accendeva il sangue. Non era, quella, una delle solite corse, che facevo mille volte al giorno, in gara con Immacolatella. Era un torneo famoso. Lassú ci aspettava un traguardo acclamante, e tutti i trenta milioni di dèi !
Le sue vulnerabilità erano misteriose come le sue indifferenze. Ricordo che una volta, mentre nuotavamo, egli si scontrò con una medusa. Tutti conoscono l’effetto d’un simile accidente: è un arrossamento della pelle, di nessuna conseguenza e di corta durata. Anche lui, certamente, sapeva ciò; ma, al vedersi il petto segnato da quelle striature sanguigne, fu vinto da un orrore che lo fece impallidire fino sulle labbra. Fuggí subito alla riva, e si buttò in terra supino, con le braccia distese, come un caduto già sopraffatto dalla nausea dell’agonia! Gli sedetti accanto: io stesso piú d’una volta ero stato vittima di ricci, meduse e altri esseri marini, senza mai dare nessuna importanza alle loro offese. Ma oggi, che la vittima era lui, m’invase un sentimento solenne di tragedia. Sulla spiaggia e per tutto il mare si fece un gran silenzio, e in questo il grido d’un gabbiano che passava mi parve un lamento femminile, una Furia.